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Dito a Scatto

Il Morbo di Notta, noto comunemente come dito a scatto, rappresenta una infiammazione (tenosinovite stenosante) di uno o più tendini flessori delle dita della mano, ed è spesso caratterizzata dallo scatto del dito durante la flessione. A livello delle dita esistono strutture chiamate pulegge, che formano dei tunnel fibrosi entro cui scorrono i tendini con le relative guaine, e che trattengono i tendini vicino alle ossa con lo scopo di ottimizzare il movimento di flessione delle dita. 

La genesi di questo processo infiammatorio determina una alterazione del corretto rapporto tra le dimensioni dei tendini e le pulegge entro cui scorrono. Ogni volta che deve attraversare la puleggia vicina al rigonfiamento, il tendine viene “strozzato” con conseguente dolore e una sensazione di difficoltà o scatto nel dito corrispondente. Quando il tendine scatta produce ulteriore infiammazione e gonfiore, innescando cosi un circolo vizioso che sostiene l’infiammazione, il gonfiore e lo scatto del dito. Nelle fasi più avanzate, il dito può addirittura bloccarsi in flessione e diventa difficile e molto doloroso sbloccarlo.

La patologia colpisce soprattutto le donne ed è presente a qualsiasi età, potendo presentarsi anche in pazienti molto piccoli. Le cause di questo processo infiammatorio non sono sempre chiare. Può essere chiamato in causa un sovraccarico funzionale, microtraumi ripetuti, ma giocano anche un ruolo importante patologie come artrite reumatoide, diabete e gotta. Il dito a scatto si manifesta inizialmente con indolenzimento alla base del dito sul versante palmare, dove può essere rilevato un piccolo nodulo. In base al quadro clinico è possibile suddividere la malattia in quattro gradi di gravità crescente secondo la Classificazione di Green.

L’obiettivo del trattamento è eliminare lo scatto o il blocco del dito e ripristinare il normale movimento del tendine. Il gonfiore intorno al tendine flessore e alla sua guaina devono essere ridotti per consentire un migliore scorrimento nella puleggia. Il trattamento conservativo (antinfiammatori, terapie fisiche, infiltrazioni, tutori) può essere indicato negli stadi iniziali della malattia per diminuire l’infiammazione del tendine, tuttavia i risultati non sempre risultano soddisfacenti e duraturi. Qualora questi trattamenti non dovessero essere sufficienti a migliorare i sintomi, al paziente può essere suggerito l’ intervento chirurgico, il cui fine è costituito dall’apertura della prima puleggia in modo che il tendine possa scorrere liberamente; si evita così la possibile comparsa di fenomeni degenerativi del tendine al protrarsi della patologia.

L’intervento viene eseguito in sala operatoria in regime ambulatoriale ed in anestesia locale. Si posiziona un laccio emostatico alla radice dell’arto per il tempo strettamente necessario all’esecuzione dell’intervento. Ha una durata generalmente inferiore ai dieci minuti e consiste in una piccola incisione palmare di uno-due di centimetri alla base del dito interessato, attraverso la quale si libera il tendine. La sezione della puleggia consente spesso di evidenziare tendini flessori degenerati con una guaina sinoviale ipertrofica, che si procede ad asportare. E’ possibile il riscontro di eventuali cisti tendinee o della puleggia che spesso sono associate alla patologia in questione. In tal caso si procederà alla rimozione della cisti in oggetto. Al termine della procedura viene eseguita una medicazione sterile ed un bendaggio elastico della mano, tenendo libere le dita per consentire il movimento. Sono consentiti da subito piccoli movimenti delle dita della mano, potendo compiere i comuni gesti della vita quotidiana senza eccessivi sforzi.

È un errore non muovere la mano per paura di avvertire dolore. Una prolungata posizione scorretta della mano dopo l’intervento può causare la formazione di edema. Tale evenienza, che complica la guarigione, va accuratamente evitata mantenendo la mano nella giusta posizione e riprendendo precocemente il movimento delle dita. E’ consigliabile tenere per qualche giorno la mano più alta del gomito per aiutare a ridurre la formazione di eventuali edemi. E’ assolutamente vietato bagnare la mano o indossare guanti per compiere attività, poichè ciò può causare la formazione di umidità a livello della ferita. Sono previste medicazioni. La rimozione dei punti avviene generalmente dopo 15 giorni dall’intervento. E’ consentita la ripresa di lavori non impegnativi dopo 2-3 settimane dall’intervento; per lavori di forza la ripresa è consigliabile dopo almeno 4 settimane. In genere, il recupero funzionale è completo anche se talora alcuni pazienti, soprattutto lavoratori manuali, possono percepire una modesta riduzione della forza di presa del dito interessato.

La maggior parte dei pazienti è soddisfatta del risultato ottenuto. L’esito dell’intervento tuttavia è influenzato da numerosi fattori, incluso il grado della lesione, età, patologie intercorrenti, abitudini di vita, la tendenza a formare aderenze tra i vari piani anatomici.

Vanno tenuti in considerazione possibili rischi ed eventuali complicanze che possono necessitare eventuali ulteriori interventi. Esse comprendono la recidiva dello scatto, infezione superficiale e/o profonda, lesioni vascolo-nervose con perdita di sensibilità a livello del dito, lussazione del tendine con difficoltà alla flessione dell’interfalangea distale in caso di sezione accidentale della puleggia A2, cicatrice chirurgica ipertrofica, dolorosa o discromica, riduzione della forza di presa del dito.

Nei casi avanzati, quando il dito scatta da molto tempo e quando ha perso il suo completo movimento, il risultato dell’intervento può essere parziale, essendo difficile recuperare l’estensione completa del dito. In tali casi è bene programmare per tempo un trattamento di fisiokinesiterapia, che perfeziona il risultato chirurgico. Il paziente dovrà inoltre eseguire, da solo a casa propria, gli esercizi riabilitativi che il chirurgo consiglierà. La malattia del dito a scatto può colpire progressivamente varie dita delle mani, in tempi successivi, ed è talvolta associata alla sindrome del tunnel carpale. Una volta operata, la malattia recidiva raramente e, se questo accade, la causa va spesso ricercata nello scarso movimento effettuato dopo l’intervento dal paziente.

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